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Collettiva giugno 2006

Locandina Collettiva giugno 2006
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Fernando Andolcetti Fernando Andolcetti
Fernando Andolcetti
Emma Caprini Emma Caprini
Emma Caprini
Cosimo Cimino Cosimo Cimino
Cosimo Cimino
Mario Commone Mario Commone
Mario Commone
Mauro Manfredi Mauro Manfredi
Mauro Manfredi
   

Collettiva: Fernando Andolcetti, Emma Caprini, Cosimo Cimino, Mario Commone e Mauro Manfredi

in collaborazione con il circolo culturale “Il Gabbiano” di La Spezia

Presentazione di Valerio P.Cremolini

Non è possibile soffermarsi sui distinti profili di Fernando Andolcetti, Emma Caprini, Cosimo Cimino, Mario Commone e Mauro Manfredi, trascurando di sottolineare la complessità della ricca vicenda espositiva del Circolo Culturale “Il Gabbiano” della Spezia, dove per tempi diversi ciascuno di loro ha maturato significative esperienze culturali. Andolcetti e Cimino sono le espressioni più autentiche di quella non comune passione che ha fatto crescere ed apprezzare la storia del Gabbiano, la cui continuità ha sicuramente pochi eguali nell’intero paese. Mancato Manfredi - ma la sua vicinanza a noi tutti è quanto mai affettuosamente concreta - Andolcetti e Cimino rappresentano la memoria di questa importante realtà espositiva, che negli anni ha saputo collezionare un percorso divulgativo di molteplici espressività artistiche, affermandosi nel tempo come riconosciuto centro di promozione dell’esperienza concettuale.
In tale ambito, attraverso rigorose rassegne tematiche e mostre personali, essi hanno suscitato contributi e riflessioni di spessore internazionale, incentrati sull’inesauribile processo, che identifica l’arte nel dispiegarsi di sottili progetti mentali sostenuti dalla centralità dell’idea. Un intrecciarsi di intuizioni delinea, infatti, il vastissimo perimetro della concettualità, scandita fisicamente da innumerevoli varianti dalla significativa valenza visuale, accolte negli spazi del Gabbiano, quali segni di una creatività che impone tempi prolungati di osservazione. Tantissime opere coniugano acuta originalità e perfezione esecutiva, testimonianze della tensione dell’artista verso la seducente bellezza. 
Fatta questa breve e doverosa premessa, che intende consapevolmente affermare l’autorevolezza del Gabbiano, è opportuno indirizzare la nostra attenzione alle opere anche eccentriche di ciascun artista, che hanno non pochi motivi per alimentare con lo stupore il senso predominante della libertà. Nel loro intimo, inoltre, tutti e cinque sono autentici poeti e come tali sanno «posar le parole come il pittore i colori e vedere il mondo spiegarsi nel suo splendore» (A.Soffici).
Nel realizzare i suoi progetti visivi, Fernando Andolcetti si giova molto spesso della musica, straordinaria alleata che gli suggerisce preziosi motivi ispiratori, elaborati con inappuntabile bon ton. Così nascono immagini dense di armonie verbali e sonore, raccolte in lavori colti e formalmente eleganti, che hanno in dote una spontanea qualità comunicativa, perseguita come valore fondamentale. In particolare, la tecnica palesemente raffinata di Andolcetti è da ritenersi l’inderogabile peculiarità, a cui l’artista perviene affermando una ricerca depurata di qualsiasi traccia superflua.
Pure Emma Caprini privilegia l’essenzialità compositiva e le sue opere identificano con spiccata originalità diverse realtà dell’immagine, valorizzate da una speciale leggerezza, propria della scrittura minuta disseminata con ordine e in assoluta libertà su vari oggetti. L’artista pare convenire che l’arte si trova nelle cose e nella vita e, pertanto, in linea con la tipica indipendenza di Fluxus, compone uno spaccato visivo efficace nel legare alla propria intelligente operatività un approccio sdrammatizzante e giocoso.
Lo slancio sperimentale non è davvero fugace in Cosimo Cimino, artista che anche durante gli anni dell’espressività astratta ha sviluppato una pittura mai svincolata dal mondo esterno. Nel suo repertorio linguisticamente ricco e dalla convincente impronta concettuale si rileva la genuina propensione a non rinunciare alla rappresentazione, concretizzata di continuo in opere dai risvolti estetici quanto mai probanti. Ed allora l’idea si materializza indifferentemente su tavole di legno o sulla carta, sulla figuratività iperrealista ricavata dal minuzioso ritaglio di lattine colorate o lasciando il proprio sigillo di autenticità su attualissimi reportage fotografici.
Mario Commone è tra gli esponenti dell’arte concettuale che escludono dallo statuto della propria operatività qualsiasi aggancio ad una referenzialità fisica. Lo spazio è il luogo in cui egli inserisce  proposizioni di celebri autori (Dove non c’è amore non c’è arte, Et quid amabo nisi quod aenigma est, ecc.), recuperate come citazioni già utilizzate da scrittori in libri di successo. Sono sconfinate le prospettive informative ed interpretative che si dispiegano dal processo analitico che scaturisce con la scelta non casuale di messaggi, il cui significato si estende ben oltre la letterarietà dei loro enunciati.
Mauro Manfredi, infine, è figura di primissimo piano nel panorama della poesia visiva, assunta come linguaggio autonomo, avvolgente e dall’inesauribile capacità combinatoria. La parola, rielaborata meticolosamente alla stregua di una miniatura, si amalgama in paesaggi reali ed architetture immaginarie, poetiche annunciazioni e labirinti impossibili, segrete sonorità ed incantevoli libri, riassunti in un’unica pagina intrisa di folgorante sapienza, di sana emotività e di pregiata sacralità.
Quella di Mauro è un’assenza che si avverte. Ci mancano la sua mitezza, la sua intelligenza, il suo sguardo accogliente ed ironico, le sue precise puntualizzazioni, inattaccabili e conclusive per la loro chiarezza. Ci sarà ancora molto da dire su di lui.

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